Readme.it in English  home page
Readme.it in Italiano  pagina iniziale
readme.it by logo SoftwareHouse.it

Yoga Roma Parioli Pony Express Raccomandate Roma

Ebook in formato Kindle (mobi) - Kindle File Ebook (mobi)

Formato per Iphone, Ipad e Ebook (epub) - Ipad, Iphone and Ebook reader format (epub)

Versione ebook di Readme.it powered by Softwarehouse.it


Nedda

di Giovanni Verga

Il focolare domestico era sempre ai miei occhi una figura rettoricabuonaper incorniciarvi gli affetti più miti e serenicome il raggio di luna perbaciare le chiome bionde; ma sorridevo allorquando sentivo dirmi che il fuocodel camino è quasi un amico. Sembravami in verità un amico troppo necessarioa volte uggioso e dispoticoche a poco a poco avrebbe voluto prendervi per lemani o per i piedie tirarvi dentro il suo antro affumicatoper baciarvi allamaniera di Giuda. Non conoscevo il passatempo di stuzzicare la legnané lavoluttà di sentirsi inondare dal riverbero della fiamma; non comprendevo illinguaggio del cepperello che scoppietta dispettosoo brontola fiammeggiando;non avevo l'occhio assuefatto ai bizzarri disegni delle scintille correnti comelucciole sui tizzoni anneritialle fantastiche figure che assume la legnacarbonizzandosialle mille gradazioni di chiaroscuro della fiamma azzurra erossa che lambisce quasi timidaaccarezza graziosamenteper divampare consfacciata petulanza. Quando mi fui iniziato ai misteri delle molle e delsoffiettom'innamorai con trasporto della voluttuosa pigrizia del caminetto. Iolascio il mio corpo su quella poltroncinaaccanto al fuococome vi lasciereiun abitoabbandonando alla fiamma la cura di far circolare più caldo il miosangue e di far battere più rapido il mio cuore; e incaricando le favillefuggentiche folleggiano come farfalle innamoratedi farmi tenere gli occhiapertie di far errare capricciosamente del pari i miei pensieri. Cotestospettacolo del proprio pensiero che svolazza vagabondo intorno a voiche vilascia per correre lontanoe per gettarvi a vostra insaputa quasi dei soffi didolce e d'amaro in cuoreha attrattive indefinibili. Col sigaro semispentocogli occhi socchiusile molle fuggendovi dalle dita allentatevedete l'altraparte di voi andar lontanopercorrere vertiginose distanze: vi par di sentirvipassar per i nervi correnti di atmosfere sconosciute: provatesorridendosenzamuovere un dito o fare un passol'effetto di mille sensazioni che farebberoincanutire i vostri capellie solcherebbero di rughe la vostra fronte.E in una di coteste peregrinazioni vagabonde dello spiritola fiamma chescoppiettavatroppo vicina forsemi fece rivedere un'altra fiamma gigantescache avevo visto ardere nell'immenso focolare della fattoria del Pinoalle faldedell'Etna. Piovevae il vento urlava incollerito; le venti o trenta donne cheraccoglievano le olive del poderefacevano fumare le loro vesti bagnate dallapioggia dinanzi al fuoco; le allegrequelle che avevano dei soldi in tascaoquelle che erano innamoratecantavano; le altre ciarlavano della raccolta delleoliveche era stata cattivadei matrimoni della parrocchiao della pioggiache rubava loro il pane di bocca. La vecchia castalda filavatanto perché lalucerna appesa alla cappa del focolare non ardesse per nulla; il grosso canecolor di lupo allungava il muso sulle zampe verso il fuocorizzando le orecchiead ogni diverso ululato del vento. Poinel tempo che cuocevasi la minestrailpecoraio si mise a suonare certa arietta montanina che pizzicava le gambee leragazze incominciarono a saltare sull'ammattonato sconnesso della vasta cucinaaffumicatamentre il cane brontolava per paura che gli pestassero la coda. Icenci svolazzavano allegramentee le fave ballavano anch'esse nella pentolaborbottando in mezzo alla schiuma che faceva sbuffare la fiamma. Quando leragazze furono stanchevenne la volta delle canzonette: - Nedda! Nedda lavarannisa! - sclamarono parecchie. - Dove s'é cacciata la varannisa?- Son qua - rispose una voce breve dall'angolo più buiodove s'eraaccoccolata una ragazza su di un fascio di legna. -O che fai tu costà? - Nulla.- Perché non hai ballato? - Perchéson stanca. - Cantaci una delle tue bellecanzonette. - Nonon voglio cantare.- Che hai? - Nulla.- Ha la mamma che sta per morire- rispose una delle sue compagnecomese avesse detto che aveva male ai denti. Laragazzache teneva il mento sui ginocchialzò su quella che aveva parlatocerti occhioni neriscintillantima asciuttiquasi impassibilie tornò achinarlisenza aprir boccasui suoi piedi nudi. Alloradue o tre si volsero verso di leimentre le altre si sbandavano ciarlando tuttein una volta come gazze che festeggiano il lauto pascoloe le dissero: - Oallora perché hai lasciato tua madre? - Pertrovar del lavoro. - Di dove sei?- Di Viagrandema sto a Ravanusa -. Unadelle spiritosela figlioccia del castaldoche doveva sposare il terzo figliodi massaro Jacopo a Pasquae aveva una bella crocetta d'oro al collole dissevolgendole le spalle: - Eh! non è lontano! la cattiva nuova dovrebbe recartelaproprio l'uccello -. Nedda le lanciò dietroun'occhiata simile a quella che il cane accovacciato dinanzi al fuoco lanciavaagli zoccoli che minacciavano la sua coda. -No! lo zio Giovanni sarebbe venuto a chiamarmi! - esclamò come rispondendo a sestessa. - Chi è lo zio Giovanni?- È lo zio Giovanni di Ravanusa; lo chiamano tutti così.- Bisognava farsi imprestare qualche cosa dallo zio Giovannie nonlasciare tua madre- disse un'altra. - Lozio Giovanni non è riccoe gli dobbiamo diggià dieci lire! E il medico? e lemedicine? e il pane di ogni giorno? Ah! si fa presto a dire! - aggiunse Neddascrollando la testae lasciando trapelare per la prima volta un'intonazionepiù dolente nella voce rude e quasi selvaggia: - ma a veder tramontare il soledall'usciopensando che non c'è pane nell'armadioné olio nella lucernanélavoro per l'indomanila è una cosa assai amaraquando si ha una poveravecchia infermalà su quel lettuccio! - Escuoteva sempre il capo dopo aver taciutosenza guardar nessunocon occhiaridiasciuttiche tradivano tale inconscio dolorequale gli occhi piùabituati alle lagrime non saprebbero esprimere. -Le vostre scodelleragazze! - gridò la castalda scoperchiando la pentola inaria trionfale. Tutte si affollarono attornoal focolareove la castalda distribuiva con paziente parsimonia le mestolate difave. Nedda aspettava ultimacolla sua scodelletta sotto il braccio. Finalmenteci fu posto anche per leie la fiamma l'illuminò tutta.Era una ragazza brunavestita miseramente; aveva quell'attitudine timidae ruvida che danno la miseria e l'isolamento. Forse sarebbe stata bellase glistenti e le fatiche non ne avessero alterato profondamente non solo le sembianzegentili della donnama direi anche la forma umana. I suoi capelli erano nerifoltiarruffatiappena annodati con dello spago; aveva denti bianchi comeavorioe una certa grossolana avvenenza di lineamenti che rendeva attraente ilsuo sorriso. Gli occhi erano nerigrandinuotanti in un fluido azzurrinoquali li avrebbe invidiati una regina a quella povera figliuola raggomitolatasull'ultimo gradino della scala umanase non fossero stati offuscatidall'ombrosa timidezza della miseriao non fossero sembrati stupidi per unatriste e continua rassegnazione. Le sue membra schiacciate da pesi enormiosviluppate violentemente da sforzi penosierano diventate grossolanesenzaesser robuste. Ella faceva da manovalequando non aveva da trasportare sassinei terreni che si andavano dissodando; o portava dei carichi in città perconto altruio faceva di quegli altri lavori più duri che da quelle partistimansi inferiori al còmpito dell'uomo. La vendemmiala messela raccoltadelle olive per lei erano delle festedei giorni di baldoriaun passatempoanziché una fatica. È vero bensì che fruttavano appena la metà di una buonagiornata estiva da manovalela quale dava 13 bravi soldi! I cenci sovrappostiin forma di vesti rendevano grottesca quella che avrebbe dovuto essere ladelicata bellezza muliebre. L'immaginazione più vivace non avrebbe potutofigurarsi che quelle mani costrette ad un'aspra fatica di tutti i giorniaraspar fra il geloo la terra brucianteo i rovi e i crepacciche quei piediabituati ad andar nudi nella neve e sulle rocce infuocate dal solea lacerarsisulle spineo ad indurirsi sui sassiavrebbero potuto esser belli. Nessunoavrebbe potuto dire quanti anni avesse cotesta creatura umana; la miserial'aveva schiacciata da bambina con tutti gli stenti che deformano e indurisconoil corpol'anima e l'intelligenza. - Così era stato di sua madrecosì di suanonnacosì sarebbe stato di sua figlia. - E dei suoi fratelli in Eva bastavache le rimanesse quel tanto che occorreva per comprenderne gli ordinie perprestar loro i più umilii più duri servigi. Neddasporse la sua scodellae la castalda ci versò quello che rimaneva di favenella pentolae non era molto. - Perchévieni sempre l'ultima? Non sai che gli ultimi hanno quel che avanza? - le dissea mo' di compenso la castalda. La poveraragazza chinò gli occhi sulla broda nera che fumava nella sua scodellacome semeritasse il rimproveroe andò pian pianino perché il contenuto non siversasse. - Io te ne darei volentieri dellemie- disse a Nedda una delle sue compagne che aveva miglior cuore; - ma sedomani continuasse a piovere... davvero!... oltre a perdere la mia giornata nonvorrei anche mangiare tutto il mio pane. -Io non ho questo timore! - rispose Nedda con un triste sorriso.- Perché? - Perché non ho pane dimio. Quel po' che ci avevoinsieme a quei pochi quattrinili ho lasciati allamamma. - E vivi della sola minestra?- Sìci sono avvezza; - rispose Nedda semplicemente.- Maledetto tempaccioche ci ruba la nostra giornata! - imprecòun'altra. - To'prendi dalla mia scodella.- Non ho più fame; - rispose la varannisa ruvidamentea mo' diringraziamento. - Tu che bestemmi la pioggiadel buon Dionon mangi forse del pane anche tu? - disse la castalda a colei cheaveva imprecato contro il cattivo tempo. - E non sai che pioggia d'autunno vuoldire buon anno? - Un mormorio generaleapprovò quelle parole. - Sìma intantoson tre buone mezze giornate che vostro marito toglierà dal conto dellasettimana! - Altro mormorio d'approvazione.- Hai forse lavorato in queste tre mezzeperché ti s'abbiano a pagare?- rispose trionfalmente la vecchia. - Èvero! è vero! - risposero le altrecon quel sentimento istintivo di giustiziache c'è nelle masseanche quando questa giustizia danneggia gli individui.La castalda intuonò il rosariole avemarie si seguirono col loromonotono brontolioaccompagnate da qualche sbadiglio. Dopo le litanie si pregòper i vivi e per i mortie allora gli occhi della povera Nedda si riempirono dilagrimee dimenticò di rispondere amen. -Che modo è cotesto di non rispondere amen? - le disse la vecchia intuono severo. - Pensava alla mia poveramamma che è tanto lontana; - balbettò Nedda timidamente.Poi la castalda diede la santa notteprese la lucerna e andòvia. Qua e làper la cucina o attorno al fuocos'improvvisarono i giacigli informe pittoresche. Le ultime fiamme gettarono vacillanti chiaroscuri sui gruppie su gli atteggiamenti diversi. Era una buona fattoria quellae il padrone nonrisparmiavacome tant'altrifave per la minestrané legna pel focolarenéstrame pei giacigli. Le donne dormivano in cucinae gli uomini nel fienile.Dove poi il padrone è avaroo la fattoria è piccolauomini e donnedormono alla rinfusacome meglio possononella stallao altrovesulla pagliao su pochi cencii figliuoli accanto ai genitorie quando il genitore èriccoe ha una coperta di suola distende sulla sua famigliuola; chi ha freddosi addossa al vicinoo mette i piedi nella cenere caldao si copre di paglias'ingegna come può; dopo un giorno di faticae per ricominciare un altrogiorno di faticail sonno è profondoal pari di un despota beneficoe lamoralità del padrone non è permalosa che per negare il lavoro alla ragazza laqualeessendo prossima a divenir madrenon potesse compiere le sue dieci oredi fatica. Prima di giorno le piùmattiniere erano uscite per vedere che tempo facessee l'uscio che sbatteva adogni momento sugli stipitispingeva turbini di pioggia e di vento freddissimosu quelli che intirizziti dormivano ancora. Ai primi albori il castaldo eravenuto a spalancare l'uscioper svegliare i pigrigiacché non è giustodefraudare il padrone di un minuto della giornata lunga dieci oreche gli pagail suo bravo tarìe qualche volta anche tre carlini (sessantacinquecentesimi!) oltre la minestra. - Piove! -era la parola uggiosa che correva su tutte le bocchecon accento di malumore.La Neddaappoggiata all'uscioguardava tristemente i grossi nuvoloni color dipiombo che gettavano su di lei le livide tinte del crepuscolo. La giornata erafredda e nebbiosa; le foglie avvizzite si staccavano strisciando lungo i ramiesvolazzavano alquanto prima di andare a cadere sulla terra fangosae ilrigagnolo s'impantanava in una pozzangheradove s'avvoltolavano voluttuosamentedei maiali; le vacche mostravano il muso nero attraverso il cancello chechiudeva la stallae guardavano la pioggia che cadeva con occhio malinconico; ipasserirannicchiati sotto le tegole della grondapigolavano in tonopiagnoloso. - Ecco un'altra giornata andataa male! - mormorò una delle ragazzeaddentando un grosso pan nero.- Le nuvole si distaccano dal mare laggiù- disse Nedda stendendo ilbraccio; - verso il mezzogiorno forse il tempo cambierà.- Però quel birbo del fattore non ci pagherà che un terzo dellagiornata! - Sarà tanto di guadagnato.- Sìma il nostro pane che mangiamo a tradimento?- E il danno che avrà il padrone delle olive che andranno a malee diquelle che si perderanno fra la mota? - Èvero- disse un'altra. - Ma pròvati adandare a raccogliere una sola di quelle olive che andranno perdute fra mezz'oraper accompagnarla al tuo pane asciuttoe vedrai quel che ti darà di giunta ilfattore! - È giustoperché le olive nonsono nostre! - Ma non sono nemmeno dellaterra che se le mangia! - La terra è delpadroneto'! - replicò Nedda trionfante di logicacon certi occhi espressivi.- È vero anche questo; - rispose un'altrala quale non sapeva cherispondere. - Quanto a me preferirei checontinuasse a piovere tutto il giornopiuttosto che stare una mezza giornatacarponi in mezzo al fangocon questo tempaccioper tre o quattro soldi.- A te non ti fanno nulla tre o quattro soldinon ti fanno! - esclamòNedda tristemente. La sera del sabatoquando fu l'ora di aggiustare il conto della settimanadinanzi alla tavola delfattoretutta carica di cartacce e di bei gruzzoletti di soldigli uomini piùturbolenti furono pagati i primiposcia le più rissose delle donnein ultimoe peggiole timide e le deboli. Quando il fattore le ebbe fatto il suo contoNedda venne a sapere chedetratte le due giornate e mezza di riposo forzatorestava ad avere quaranta soldi. La poveraragazza non osò aprir bocca. Solo le si riempirono gli occhi di lagrime.- E laméntati per giuntapiagnucolona! - gridò il fattoreil qualegridava sempreda fattore coscienzioso che difende i soldi del padrone. - Dopoche ti pago come le altree sì che sei più povera e più piccola delle altre!e ti pago la tua giornata come nessun proprietario ne paga una simile in tuttoil territorio di PedaraNicolosi e Trecastagne! Tre carlinioltre la minestra!- Io non mi lamento... - disse timidamente Nedda intascando quei pochisoldi che il fattoread aumentare il valoreaveva conteggiato per grani. - Lacolpa è del tempo che è stato cattivo e mi ha tolto quasi la metà di quel cheavrei potuto buscarmi. - Pigliatela colSignore! - disse il fattore ruvidamente. -Ohnon col Signore! ma con me che son tanto povera!- Pàgagli intiera la sua settimanaa quella povera ragazza; - disse alfattore il figliuolo del padroneil quale assisteva alla raccolta delle olive.- Non sono che pochi soldi di differenza. -Non devo darle che quel ch'è giusto! - Mase te lo dico io! - Tutti i proprietari delvicinato farebbero la guerra a voi e a me se facessimo delle novità.- Hai ragione! - rispose il figliuolo del padroneil quale era un riccoproprietarioe aveva molti vicini. Neddaraccolse quei pochi cenci che erano suoie disse addio alle compagne.- Vai a Ravanusa a quest'ora? - dissero alcune.- La mamma sta male! - Non hai paura?- Sìho paura per questi soldi che ho in tasca; ma la mamma sta maleeadesso che non son più costretta a star qui a lavoraremi sembra che nonpotrei dormirese mi fermassi anche stanotte. -Vuoi che t'accompagni? - le disse in tuono di scherzo il giovane pecoraio.- Vado con Dio e con Maria - disse semplicemente la povera ragazzaprendendo la via dei campi a capo chino. Ilsole era tramontato da qualche tempo e le ombre salivano rapidamente verso lacima della montagna. Nedda camminava sollecitae quando le tenebre si feceroprofondecominciò a cantare come un uccelletto spaventato. Ogni dieci passivoltavasi indietropaurosae allorché un sassosmosso dalla pioggia che eracadutasdrucciolava dal muriccioloo il vento le spruzzava bruscamente addossoa guisa di gragnuola la pioggia raccolta nelle foglie degli alberiella sifermava tutta tremantecome una capretta sbrancata. Un assiolo la seguivad'albero in albero col suo canto lamentoso; ed ellatutta lieta di quellacompagniagli faceva il richiamoperché l'uccello non si stancasse diseguirla. Quando passava dinanzi ad una cappellettaaccanto alla porta diqualche fattoriasi fermava un istante nella viottola per dire in frettaun'avemariastando all'erta che non le saltasse addosso dal muro di cinta ilcane di guardiache abbaiava furiosamente; poi partiva di passo più lestorivolgendosi due o tre volte a guardare il lumicino che ardeva in omaggio allaSantanello stesso tempo che faceva lume al fattorequando doveva tornar tardidai campi. Quel lumicino le dava coraggioela faceva pregare per la sua povera mamma. Di tempo in tempo un pensierodoloroso le stringeva il cuore con una fitta improvvisae allora si metteva acorreree cantava ad alta voce per stordirsio pensava ai giorni più allegridella vendemmiao alle sere d'estatequandocon la più bella luna del mondosi tornava a stormi dalla Pianadietro la cornamusa che suonava allegramente;ma il suo pensiero correva sempre làdinanzi al misero giaciglio della suainferma. Inciampò in una scheggia di lava tagliente come un rasoioe silacerò un piede; l'oscurità era sì fitta che alle svolte della viottola lapovera ragazza spesso urtava contro il muro o la siepee cominciava a perdercoraggio e a non saper dove si trovasse. Tutt'a un tratto udì l'orologio diPunta che suonava le novecosì vicino che i rintocchi sembravano le cadesserosul capo. Nedda sorrisequasi un amico l'avesse chiamata per nome in mezzo aduna folla di stranieri. Infilò allegramentela via del villaggiocantando a squarciagola la sua bella canzonee tenendostretti nella manodentro la tasca del grembiulei suoi quaranta soldi.Passando dinanzi alla farmacia vide lo speziale ed il notaro tuttiinferraiuolati che giocavano a carte. Alquanto più in là incontrò il poveromatto di Puntache andava su e giù da un capo all'altro della viacolle maninelle tasche del vestitocanticchiando la solita canzone che l'accompagna daventi anninelle notti d'inverno e nei meriggi della canicola. Quando fu aiprimi alberi del diritto viale di Ravanusaincontrò un paio di buoi chevenivano a passo lento ruminando tranquillamente. -OhéNedda! - gridò una voce nota. - SeituJanu? - Sìson iocoi buoi delpadrone. - Da dove vieni? - domandò Neddasenza fermarsi. - Vengo dalla Piana. Sonpassato da casa tua; tua madre t'aspetta. -Come sta la mamma? - Al solito.- Che Dio ti benedica! - esclamò la ragazza come se avesse temuto ilpeggioe ricominciò a correre. - AddioNedda! - le gridò dietro Janu. - Addio-balbettò da lontano Nedda. E le parve chele stelle splendessero come soliche tutti gli alberinoti uno per unostendessero i rami sulla sua testa per proteggerlae i sassi della via leaccarezzassero i piedi indolenziti. Ildomanich'era domenicavenne la visita del medicoil quale concedeva ai suoimalati poveri il giorno che non poteva consacrare ai suoi poderi. Una tristevisita davvero! perché il buon dottore non era abituato a far complimenti coisuoi clientie nel casolare di Nedda non c'era anticamerané amici di casa aiquali si potesse annunciare il vero stato dell'inferma.Nella giornata seguì anche una mesta funzione; venne il curato inrocchettoil sagrestano coll'olio santoe due o tre comari che borbottavanonon so che preci. La campanella del sagrestano squillava acutamente in mezzo aicampie i carrettieri che l'udivano fermavano i loro muli in mezzo alla stradae si cavavano il berretto. Quando Nedda l'udì per la sassosa viottola tirò sula coperta tutta lacera dell'infermaperché non si vedesse che mancavano lelenzuolae piegò il suo più bel grembiule bianco sul deschetto zopporesofermo con dei mattoni. Poimentre il prete compiva il suo ufficiòandò adinginocchiarsi fuori dell'usciobalbettando macchinalmente delle preciguardando come trasognata quel sasso dinanzi alla soglia su cui la suavecchierella soleva scaldarsi al sole di marzoe ascoltando con orecchiodistratto i consueti rumori delle vicinanzeed il via vai di tutta quella genteche andava per i propri affari senza avere angustie pel capo. Il curato partìed il sagrestano indugiò invano sull'uscio perchè gli facessero la solitalimosina pei poveri. Lo zio Giovanni vide atarda ora della sera la Nedda che correva sulla strada di Punta.- Ohé! dove vai a quest'ora? - Vadoper una medicina che ha ordinato il medico -. Lozio Giovanni era economo e brontolone. -Ancora medicine! - borbottò- dopo che ha ordinato la medicina dell'oliosanto! giàloro fanno a metà collo spezialeper dissanguare la povera gente!Fai a mio modoNeddarisparmia quei quattrini e vatti a star colla tuavecchia. - Chissà che non avesse a giovare!- rispose tristemente la ragazza chinando gli occhie affrettò il passo.Lo zio Giovanni rispose con un brontolio. Poi le gridò dietro: - Ohe! lavarannisa! - Che volete?- Anderò io dallo speziale. Farò più presto di tenon dubitare.Intanto non lascerai sola la povera malata -. Allaragazza vennero le lagrime agli occhi. - CheDio vi benedica! - gli dissee volle anche mettergli in mano i denari.- I denari me li darai poi; - rispose ruvidamente lo zio Giovannie sidiede a camminare colle gambe dei suoi vent'anni. Laragazza tornò indietro e disse alla mamma: - C'è andato lo zio Giovanni- elo disse con voce dolce insolitamente. Lamoribonda udì il suono dei soldi che Nedda posava sul deschettoe lainterrogò cogli occhi. - Mi ha detto cheglieli darò poi; - rispose la figlia. - CheDio gli paghi la carità! - mormorò l'inferma- così resterai senza unquattrino. - Ohmamma!- Quanto gli dobbiamo allo zio Giovanni? -Dieci lire. Ma non abbiate pauramamma! Io lavorerò! -La vecchia la guardò a lungo coll'occhio semispentoe poscial'abbracciò senza aprir bocca. Il giorno dopo vennero i becchiniil sagrestanoe le comari. Quando Nedda ebbe acconciato la morta nella baracoi suoi miglioriabitile mise tra le mani un garofano che aveva fiorito dentro una pentolafessae la più bella treccia dei suoi capelli; diede ai becchini quei pochisoldi che le rimanevano perché facessero a modoe non scuotessero tanto lamorta per la viottola sassosa del cimitero; poi rassettò il lettuccio e lacasamise in altosullo scaffalel'ultimo bicchiere di medicinae andò asedersi sulla soglia dell'uscioguardando il cielo.Un pettirossoil freddoloso uccelletto del novembresi mise a cantaretra le frasche e i rovi che coronavano il muricciuolo di faccia all'uscioesaltellando fra le spine e gli sterpila guardava con certi occhietti maliziosicome se volesse dirle qualche cosa: Nedda pensò che la sua mammail giornoinnanzil'aveva udito cantare. Nell'orto accanto c'erano delle olive per terrae le gazze venivano a beccarle; ella le aveva scacciate a sassateperché lamoribonda non ne udisse il funebre gracidare; adesso le guardò impassibileenon si mosse; e quando sulla strada vicina passarono il venditore di lupinioil vinaioo i carrettieriche discorrevano ad alta voce per vincere il rumoredei loro carri e delle sonagliere dei loro muliella diceva: - costui è iltalequegli è il tal altro -. Allorché suonò l'avemariae s'accese la primastella della serasi rammentò che non doveva andar giù per le medicine aPuntaed a misura che i rumori andarono perdendosi nella viae le tenebre acalare nell'ortopensò che non aveva più bisogno d'accendere il lume.Lo zio Giovanni la trovò ritta sull'uscio. Ellasi era alzata udendo dei passi nella viottolaperché non aspettava piùnessuno. - Che fai costà! - le domandò lozio Giovanni. Ella si strinse nelle spallee non rispose.Il vecchio si assise accanto a leisulla sogliae non aggiunse altro.- Zio Giovanni- disse la ragazza dopo un lungo silenzio- adesso nonho più nessunoe posso andar lontano a cercar lavoro; partirò per la Roccellaove dura ancora la raccolta delle olivee al ritorno vi restituirò i denariche ci avete imprestati. - Io non sonovenuto a domandarteli i tuoi denari! - le rispose burbero lo zio Giovanni.Ella non disse altroed entrambi rimasero zitti ad ascoltare l'assioloche cantava. Nedda pensò che era forse quello stesso di due sere innanziesentì gonfiarsi il cuore. - E del lavoro nehai? - domandò finalmente lo zio Giovanni. -Noma qualche anima caritatevole troveròche me ne darà.- Ho sentito dire che ad Aci Catena pagano le donne abili per incartarele arance in ragione di una lira al giornosenza minestrae ho subito pensatoa te; tu hai già fatto quel mestiere nello scorso marzoe devi esser pratica.Vuoi andare? - Magari!- Bisognerebbe trovarsi domani all'alba al giardino del Merloall'angolodella scorciatoia che conduce a Sant'Anna. -Posso anche partire stanotte. La mia povera mamma non ha voluto costarmi moltigiorni di riposo. - Sai dove andare?- Sìpoi mi informerò. -Domanderai all'oste che sta sulla strada maestra di Valverdeal di là delcastagneto ch'è sulla sinistra della via. Cercherai di massaro Vinirannuedirai che ti mando io. - Ci andrò- dissela povera ragazza. - Ho pensato che nonavresti avuto del pane per la settimana- disse lo zio Giovanni cavando ungrosso pan nero dalla profonda tasca del suo vestitoe posandolo sul deschetto.La Nedda si fece rossacome se facesse lei quella buona azione. Poidopo qualche istante riprese: - Se il signorcurato dicesse domani la messa per la mammaio gli farei due giornate dilavoroalla raccolta delle fave. - La messal'ho fatta dire - rispose lo zio Giovanni. -Oh! la povera morta pregherà anche per voi! - mormorò la ragazza coi grossilagrimoni agli occhi. Infinequando lo zioGiovanni se ne andòe udì perdersi in lontananza il rumore de suoi passipesantichiuse l'uscioe accese la candela. Allora le parve di trovarsi solaal mondoed ebbe paura di dormire in quel povero lettuccio ove soleva coricarsiaccanto alla sua mamma. Le ragazze delvillaggio sparlarono di lei perché andò a lavorare subito il giorno dopo lamorte della sua vecchiae perché non aveva messo il bruno; e il signor curatola sgridò fortequando la domenica successiva la vide sull'uscio del casolarementre si cuciva il grembiule che aveva fatto tingere in nerounico e poverosegno di luttoe prese argomento da ciò per predicare in chiesa contro il maluso di non osservare le feste e le domeniche. Lapovera fanciullaper farsi perdonare il suo grosso peccatoandò a lavoraredue giorni nel campo del curatoacciò dicesse la messa per la sua morta ilprimo lunedì del mese; e la domenicaquando le fanciullevestite dei lorobegli abiti da festasi tiravano in là sul bancoo ridevano di leie igiovanottiall'uscire di chiesale dicevano facezie grossolaneella sistringeva nella sua mantellina tutta lacerae affrettava il passochinando gliocchisenza che un pensiero amaro venisse a turbare la serenità della suapreghiera - ovvero diceva a se stessa a mo' di rimprovero che si fosse meritato:- Son così povera! - oppureguardando le sue due buone braccia: - Benedetto ilSignore che me le ha date! - e tirava via sorridendo.Una sera - aveva spento da poco il lume - udì nella viottola una notavoce che cantava a squarciagolae con la melanconica cadenza orientale dellecanzoni contadinesche: Picca cci voli ca la vaju' a viju. A la mi' amanti dil'arma mia!... - È Janu! - dissesottovocementre il cuore le balzava dal petto come un uccello spaventatoecacciò la testa fra le coltri. E il domaniquando aprì la finestravide Janu col suo bel vestito nuovo di fustagnonellecui tasche cercavano entrare per forza le sue grosse mani nere e incallite allavorocon un bel fazzoletto di seta nuova fiammante che faceva capolino concivetteria dalla scarsella del farsettoil quale si godeva il bel sole d'aprileappoggiato al muricciolo dell'orto. - OhJanu! - diss'ellacome se non ne sapesse proprio nulla.- Salutamu! - esclamò il giovane col suo più grosso sorriso.- O che fai qui? - Torno dalla Piana-. La fanciulla sorrisee guardò le lodoleche saltellavano ancora sul verde per l'ora mattutina.- Sei tornato colle lodole. - Lelodole vanno dove trovano il miglioed io dove c'è del pane.- O come? - Il padrone m'halicenziato. - O perché?- Perché avevo preso le febbri laggiùe non potevo più lavorare chetre giorni per settimana. - Si vedepoveroJanu! - Maledetta Piana! - imprecò Janustendendo il braccio verso la pianura. -Saila mamma!... - disse Nedda. - Me l'hadetto lo zio Giovanni -. Ella non aggiunsealtroe guardò l'orticello al di là del muricciolo. I sassi umidiccifumavano; le gocce di rugiada luccicavano su di ogni filo d'erba; i mandorlifioriti sussurravano lieve lieve e lasciavano cadere sul tettuccio del casolarei loro fiori bianchi e rosei che imbalsamavano l'aria; una passerapetulante esospettosa nel tempo istessoschiamazzava sulla grondae minacciava a suo modoJanuche aveva tutta l'ariacol suo viso sospettodi insidiare al suo nidodel quale spuntavano tra le tegole alcuni fili di paglia indiscreti. La campanadella chiesuola chiamava a messa. - Come fapiacere a sentire la nostra campana! - esclamò Janu.- Io ho riconosciuto la tua voce stanotte- disse Nedda facendosi rossae zappando con un coccio la terra della pentola che conteneva i suoi fiori.Egli si volse in làed accese la pipacome deve fare un uomo.- Addiovado a messa! - disse bruscamente la Neddatirandosi indietrodopo un lungo silenzio. - Prenditi hoportato codesto dalla città - le disse il giovane sciorinando il suo belfazzoletto di seta. - Oh! com'è bello! maquesto non fa per me! - O perché? se non ticosta nulla! - rispose il giovanotto con logica contadinesca.Ella si fece rossacome se la grossa spesa le avesse dato idea dei caldisentimenti del giovanegli lanciòsorridenteun'occhiata fra carezzevole eselvaggiae scappò in casa; e allorché udì i grossi scarponi di lui suisassi della viottolafece capolino per accompagnarlo cogli occhi mentre se neandava. Alla messa le ragazze del villaggiopoterono vedere il bel fazzoletto di Neddadove c'erano stampate delle rose chesi sarebbero mangiatee su cui il solescintillante dalle invetriate dellachiesuolamandava i suoi raggi più allegri. E quand'ella passò dinanzi a Januil quale stava presso il primo cipresso del sacratocolle spalle al muro efumando nella sua pipa intagliataella sentì gran caldo al visoe il cuoreche le faceva un gran battere in pettoe sgusciò via alla lesta. Il giovane letenne dietro fischiettandoe la guardava a camminare svelta e senza voltarsiindietrocolla sua veste nuova di fustagno che faceva delle belle pieghepesantile sue brave scarpettee la sua mantellina fiammante. - La poveraformicaor che la mamma stando in paradiso non l'era più a caricoerariuscita a farsi un po' di corredo col suo lavoro. - Fra tutte le miserie delpovero c'e anche quella del sollievo che arrecano le perdite più dolorose alcuore! Nedda sentiva dietro di sècon granpiacere o gran sgomento (non sapeva davvero che cosa fosse delle due)il passopesante del giovanottoe guardava sulla polvere biancastra dello stradaletutto diritto e inondato di soleun'altra ombrala quale di tanto in tanto sidistaccava dalla sua. Tutt'a un trattoquando fu in vista della sua casucciasenza alcun motivosi diede a correre come una cerbiatta spaventata. Janu laraggiunseella si appoggiò all'usciotutta rossa e sorridentee gli allungòun pugno sul dorso. - To'! - Egli ripicchiòcon galanteria un po' manesca. - O quantol'hai pagato il tuo fazzoletto? - domandò Nedda togliendoselo dal capo persciorinarlo al sole e contemplarlo in aria festosa.- Cinque lire- rispose Janu un po' pettoruto.Ella sorrise senza guardarlo; ripiegò accuratamente il fazzolettostudiando i segni che avevano lasciato le pieghee si mise a canticchiare unacanzonetta che non soleva tornarle in bocca da lungo tempo.La pentola rottaposta sul davanzaleera ricca di garofani in boccio.- Che peccato- disse Nedda- che non ce ne siano di fioriti! - espiccò il più grosso bocciolo e glielo diede. -Che vuoi che ne faccia se non è sbocciato? - diss'egli senza comprenderlae lobuttò via. Ella si volse in là. - E adessodovrai andare a lavorare? - gli domandò dopo qualche secondo.Egli alzò le spalle: - Dove andrai tu domani!- A Bongiardo. - Del lavoro netroverò; ma bisognerebbe che non tornassero le febbri.- Bisognerebbe non star fuori la notte a cantare dietro gli usci! - glidiss'ella tutta rossadondolandosi sullo stipite dell'uscio con certa ariacivettuola. - Non lo farò piùse tu nonvuoi -. Ella gli diede un buffettoescappò dentro. - Ohé! Janu! - chiamòdalla strada lo zio Giovanni - Vengo! -gridò Janu; e alla Nedda: - Verrò anch'io a Bongiardose mi vogliono.- Ragazzo mio- gli disse lo zio Giovanni quando fu sulla strada- laNedda non ha più nessunoe tu sei un bravo giovinotto; ma insieme non ci stateproprio bene. Hai inteso? - Ho intesozioGiovanni; ma se Dio vuoledopo la messequando avrò da banda quel po' diquattrini che ci voglionoinsieme ci staremo benissimo -.Neddache aveva udito da dietro il muricciolosi fece rossasebbenenessuno la vedesse. L'indomaniprima digiornoquand'ella si affacciò all'uscio per partiretrovò Janucol suofagotto infilato al bastone. - O dove vai? -gli domandò. - Vengo anch'io a Bongiardoacercar lavoro -. I passerottiche si eranosvegliati alle voci mattutinecominciarono a pigolare dietro il nido. Januinfilò al suo bastone anche il fagotto di Neddae s'avviarono alacrementementre il cielo si tingeva all'orizzonte delle prime fiamme del giornoe ilventicello diveniva frizzante. A Bongiardoc'era proprio del lavoro per chi ne voleva. Il prezzo del vino era salitoe unricco proprietario faceva dissodare un gran tratto di chiuse da mettere avigneti. Le chiuse rendevano 1200 lire all'anno in lupini ed olio; messea vigneto avrebbero datofra cinque anni12 o 13 mila lireimpiegandovenesolo 10 o 12 mila; il taglio degli ulivi avrebbe coperto metà della spesa. Eraun'eccellente speculazionecome si vedee il proprietario pagavadi buongradouna gran giornata ai contadini che lavoravano al dissodamento30 soldiagli uominie 20 alle donnesenza minestra; è vero che il lavoro era un po'faticosoe che ci si rimettevano anche quei pochi cenci che formavano ilvestito dei giorni di lavoro; ma Nedda non era abituata a guadagnar 20 solditutti i giorni. Il soprastante s'accorse cheJanuriempiendo i corbelli di sassilasciava sempre il più leggiero perNeddae minacciò di cacciarlo via. Il povero diavolotanto per non perdere ilpanedovette accontentarsi di discendere dai 30 ai 20 soldi.Il male era che quei poderi quasi incolti mancavano di fattoriae lanotte uomini e donne dovevano dormire alla rinfusa nell'unico casolare senzaportae sì che le notti erano piuttosto fredde. Janu diceva d'aver semprecaldoe dava a Nedda la sua casacca di fustagno perché si coprisse per bene.La domenica poi tutta la brigata si metteva in cammino per vie diverse.Janu e Nedda avevano preso le scorciatoiee andavano attraverso ilcastagneto chiacchierandoridendocantando a ripresee facendo risuonarenelle tasche i grossi soldoni. Il sole era caldo come in giugno; i prati lontanicominciavano ad ingiallirele ombre degli alberi avevano qualche cosa difestevolee l'erba che vi cresceva era ancora verde e rugiadosa.Verso il mezzogiorno sedettero al rezzoper mangiare il loro pan nero ele loro cipolle bianche. Janu aveva anche del vinodel buon vino di Mascali cheregalava a Nedda senza risparmioe la povera ragazzala quale non c'eraavvezzasi sentiva la lingua grossae la testa assai pesante. Di tratto intratto si guardavano e ridevano senza saper perché.- Se fossimo marito e moglie si potrebbe tutti i giorni mangiare il panee bere il vino insieme; - disse Janu con la bocca pienae Nedda chinò gliocchiperché egli la guardava in un certo modo. Regnavail profondo silenzio del meriggio; le più piccole foglie erano immobili; leombre erano rade; c'era per l'aria una calmaun teporeun ronzio di insettiche pesava voluttuosamente sulle palpebre. Ad un tratto una corrente d'ariafrescache veniva dal marefece sussurrare le cime più alte de' castagni.- L'annata sarà buona pel povero e pel ricco- disse Janu- e se Diovuole alla messe un po' di quattrini metterò da banda... e se tu mi volessibene!... - e le porse il fiasco. - Nononvoglio più bere. - disse ella colle guance tutte rosse.- O perché ti fai rossa? - diss'egli ridendo.- Non te lo voglio dire. - Perchéhai bevuto! - No!- Perché mi vuoi bene? - Ella glidiede un pugno sull'omero e si mise a ridere. Dalontano si udì il raglio di un asino che sentiva l'erba fresca. - Sai perchéragliano gli asini? - domandò Janu. - Dillotu che lo sai. - Sì che lo so; raglianoperché sono innamorati- disse egli con un riso grossolanoe la guardò fiso.Ella chinò gli occhi come se ci vedesse delle fiammee le sembrò chetutto il vino che aveva bevuto le montasse alla testae tutto l'ardore di quelcielo di metallo le penetrasse nelle vene. -Andiamo via! - esclamò corrucciatascuotendo la testa pesante.- Che hai? - Non lo soma andiamovia! - Mi vuoi bene? -Nedda chinò il capo. - Vuoi esseremia moglie? - Ella lo guardò serenamenteegli strinse forte la mano callosa nelle sue mani brunema si alzò sui ginocchiche le tremavano per andarsene. Egli la trattenne per le vestitutto stravoltoe balbettando parole sconnessecome non sapendo quel che si facesse.Allorché si udì nella fattoria vicina il gallo che cantavaNeddabalzò in piedi di soprassaltoe si guardò attorno spaurita.- Andiamo via! Andiamo via! - disse tutta rossa e frettolosa.Quando fu per svoltare l'angolo della sua casuccia si fermò un momentotrepidantequasi temesse di trovare la sua vecchiarella sull'uscio deserto dasei mesi. Venne la Pasquala gaia festa deicampi coi suoi falò giganteschicolle sue allegre processioni fra i prativerdeggianti e sotto gli alberi carichi di fioricolla chiesuola parata afestagli usci delle casipole incoronati di festonie le ragazze colle bellevesti nuove d'estate. Nedda fu vista allontanarsi piangendo dal confessionarioe non comparve fra le fanciulle inginocchiate dinanzi al coro che aspettavano lacomunione. Da quel giorno nessuna ragazza onesta le rivolse più la parolaequando andava a messa non trovava posto al solito bancoe bisognava che stessetutto il tempo ginocchioni: - se la vedevano piangerepensavano a chissà chepeccataccie le volgevano le spalle inorridite: - e quelle che le davano dalavorarene approfittavano per scemarle il prezzo della giornata.Ella aspettava il suo fidanzato che era andato a mietere alla Pianaraggruzzolare i quattrini che ci volevano a mettere su un po' di casae apagare il signor curato. Una seramentrefilavaudì fermarsi all'imboccatura della viottola un carro da buoie si videcomparir dinanzi Janu pallido e contraffatto. -Che hai? - gli disse. - Son stato ammalato.Le febbri mi ripresero laggiùin quella maledetta Piana; ho perso più di unasettimana di lavoroed ho mangiato quei pochi soldi che avevo fatto -.Ella rientrò in frettascucì il pagliericcioe volle dargli quelpiccolo gruzzolo che aveva legato in fondo ad una calza.- No- diss'egli. - Domani andrò a Mascalucia per la rimondatura degliulivie non avrò bisogno di nulla. Dopo la rimondatura ci sposeremo -.Egli aveva l'aria triste facendole questa promessae stava appoggiatoallo stipitecol fazzoletto avvolto attorno al capoe guardandola con certiocchi luccicanti. - Ma tu hai la febbre! -gli disse Nedda. - Sìma ora che son quimi lascerà; ad ogni modo non mi coglie che ogni tre giorni -.Ella lo guardava senza parlaree sentiva stringersi il cuorevedendolocosì pallido e dimagrato. - E potrai reggerti sui rami alti? - gli domandò.- Dio ci penserà! - rispose Janu. - Addionon posso far aspettare ilcarrettiere che mi ha dato un posto sul suo carro dalla Piana sin qui. Arivederci presto! - e non si moveva. Quando finalmente se ne andòella loaccompagnò sino alla strada maestrae lo vide allontanarsisenza una lagrimasebbene le sembrasse che stesse a vederlo partire per sempre; il cuore ebbeun'altra strizzatinacome una spugna non spremuta abbastanza - nulla piùedegli la salutò per nome alla svolta della via. Tregiorni dopo udì un gran cicaleccio per la strada. Si affacciò al muriccioloevide in mezzo ad un crocchio di contadini e di comari Janu disteso su di unascala a piuolipallido come un cencio lavatoe colla testa fasciata da unfazzoletto tutto sporco di sangue. Lungo la via dolorosaprima di giungere alsuo casolareeglitenendola per manole narrò cometrovandosi così deboleper le febbriera caduto da un'alta cimae s'era concio in quel modo. - Ilcuore te lo diceva: - mormorava con un triste sorriso. Ella l'ascoltava coi suoigrand'occhi spalancatipallida come lui e tenendolo per mano. Il domani eglimorì. Allora Neddasentendo muoversidentro di sé qualcosa che quel morto le lasciava come un triste ricordovollecorrere in chiesa a pregare per lui la Vergine Santa. Sul sacrato incontrò ilprete che sapeva la sua vergognasi nascose il viso nella mantellina e tornòindietro derelitta. Adessoquando cercavadel lavorole ridevano in faccianon per schernire la ragazza colpevolemaperché la povera madre non poteva più lavorare come prima. Dopo i primirifiutie le prime risateella non osò cercare più oltree si chiuse nellasua casipolaal pari di un uccelletto ferito che va a rannicchiarsi nel suonido. Quei pochi soldi raccolti in fondo alla calza se ne andarono l'un dopol'altroe dietro ai soldi la bella veste nuovae il bel fazzoletto di seta. Lozio Giovanni la soccorreva per quel poco che potevacon quella caritàindulgente e riparatrice senza la quale la morale del curato è ingiusta esterilee le impedì così di morire di fame. Ella diede alla luce una bambinarachitica e stenta; quando le dissero che non era un maschio pianse come avevapianto la sera in cui aveva chiuso l'uscio del casolare dietro al cataletto chese ne andavae s'era trovata senza la mamma; ma non volle che la buttasseroalla Ruota. - Povera bambina! Che incomincia soffrire almeno il più tardi che sia possibile! - disse.Le comari la chiamavano sfacciataperché non era stata ipocritaeperché non era snaturata. Alla povera bambina mancava il lattegiacché allamadre scarseggiava il pane. Ella deperì rapidamentee invano Nedda tentòspremere fra i labbruzzi affamati il sangue del suo seno. Una sera d'invernosul tramontomentre la neve fioccava sul tettoe il vento scuoteva l'uscio malchiusola povera bambinatutta freddalividacolle manine contrattefissògli occhi vitrei su quelli ardenti della madrediede un guizzoe non si mossepiù. Nedda la scossese la strinse al senocon impeto selvaggiotentò di scaldarla coll'alito e coi bacie quandos'accorse che era proprio mortala depose sul letto dove aveva dormito suamadree le s'inginocchiò davanticogli occhi asciutti e spalancati fuor dimisura. - Oh! benedette voi che siete morte!- esclamò. - Oh! benedetta voiVergine Santa! che mi avete tolto la miacreatura per non farla soffrire come me! -